La città che avanza

Un progetto di Maria Giovanna Govoni
in collaborazione con Alice Buoli, Cristiana Mattioli, Serena Porrati

per “Milano e Oltre: creatività giovanile verso nuove ecologie urbane” - Cantiere Bovisa
ideato e curato da Connecting Cultures, con la partecipazione di Alberto Garutti
realizzato con il contributo di Fondazione Cariplo
aprile - giugno 2011


Il progetto parte da un’analisi e una ricerca sulle aree dismesse del quartiere, ex aree ed edifici industriali, oggi recintate e abbandonate in attesa dei progetti che nel futuro vedranno una vera e propria riqualificazione attraverso nuove costruzioni. Queste aree, considerati vuoti urbani, in realtà sono tutt’altro che abbandonati perchè nel tempo la natura si è insinuata all’interno di questi spazi residuali, risignificandoli e riappropriandosene.
L’idea è quindi di lavorare sulle piante ruderali e pioniere presenti in questi luoghi attraverso la loro conoscenza, la raccolta, la catalogazione e messa in evidenza per poter ridare valore a questi luoghi. Svelare la loro presenza al fine di creare un erbario urbano, segnalare un nuovo giardino spontaneo possibile, diventa il primo passo per la creazione di un presidio sul territorio. Il recinto non solo come limitazione all’accesso, ma come strumento di protezione e preludio alla non azione, il non agire per cominciare a ‘prendersi cura di’. Il margine non come barriera ma come frontiera e soglia inteso come momento di conoscenza. La salvaguardia e la tutela della natura e del selvatico come unico intervento antropico possibile.



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Ogni volta che ho provato a descrivere un paesaggio, il metodo da seguire nella descrizione diventa altrettanto importante che il paesaggio descritto... Perciò una descrizione di paesaggio, essendo carica di temporalità, è sempre racconto: c’è un io in movimento che descrive un paesaggio in movimento, e ogni elemento del paesaggio è carico di una sua temporalità cioè della possibilità di essere descritto in un altro momento presente o futuro.
[Italo Calvino]

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LANDING | atterraggio | atterrare

Il Landing è il primo atto di riconoscimento del luogo e segna l’inizio dell’odissea del progetto. (…) L’atterraggio spesso invoca sbilanciamento e cambio di velocità (come in arrivo), ma allo stesso tempo comunica l’idea di toccare terra e raggiungere i confini di un mondo sconosciuto. L’atterraggio perciò richiede uno stato mentale particolare, in cui prevalgano le intuizioni e le impressioni, in cui si senta prima di pensare, in cui muoversi e girare intorno prima di cercare rivelazioni e conoscenze per intero.(...)

Alla luce di queste premesse sono state effettuate le prime ricognizioni sul territorio che hanno avuto come oggetto proprio tutte quelle aree che all’interno del quartiere sono dismesse, abbandonate e in attesa.
Che tipi di spazi sono? Che cosa li caratterizza?
L’osservazione, lettura e rilievo sono la prima parte del percorso, il preludio al progetto; troppo spesso modifichiamo i luoghi che abitiamo senza sostarvi; senza lasciare parlare il corpo che misura e agisce, senza lasciare i tempi allo sguardo per rinvenirne l’essenza.
Il paesaggio osservato nel manifestarsi delle sue metamorfosi luminose, dei suoni, degli odori, delle immagini atmosferiche e stagionali.
Ma anche il paesaggio osservato come insieme di segni da leggere, come insieme di relazioni; un’osservazione spaziale e temporale più completa, per comprendere il significato della sua dimensione antropica.
La lettura e la conoscenza profonda del luogo portano i primi segni progettuali; luce, suolo, vegetazione, natura diventano materiali stessi del progetto.

GROUNDING | porre le basi


(…) Il porre le basi è più leggere e capire un luogo attraverso visite e studi ripetuti nel tempo. Il luogo contiene sia residui che promesse, il suo contesto circostante, il suo suolo, l’acqua, il clima, l’ecologia, e la sua storia sono uniche e speciali.
Così il grounding ha meno a che fare con l’immaginazione individuale ma piuttosto inizia ad essere ricerca ed analisi attente. (...)

La prima fase di ricognizione e osservazione ha portato ad una seconda fase quella analitica che ha evidenziato tre tematiche che a mio avviso caratterizzano ed esplicano, non solo quello che oggi è la Bovisa, ma anche quello che è stata e quello che sarà.

RECINTI | il vuoto e l’immaginario urbano


Attraversando il territorio si è potuto osservare che la maggior parte delle aree oggetto delle ricognizioni sono caratterizzate da recinti. La declinazione del recinto però può variare a seconda del campo semantico e metaforico all’interno del quale collochiamo l’indagine e su cui focalizziamo l’attenzione:
Aree verdi residuali, spazi aperti di risulta, vuoti urbani in attesa. La delimitazione che non deriva da una scelta ma dall’esclusione, l’area delimitata è quella scartata.
Limite visivo. Il recinto che esclude dalla vista l’area compresa e racchiusa. Non viene limitato solo l’accesso e la fruibilità ma anche lo sguardo, lasciando all’osservatore la libertà di incuriosirsi e di immaginarsi cosa c’è oltre il recinto.
Vietato entrare. Delimitazione, chiusura, impedimento all’accesso.
Vietato l’ingresso/vietata l’uscita. Il campus come recinto sociale. L’accentramento delle attività che ruotano attorno al Politecnico fa si che non solo il campus stesso, ma anche il percorso obbligato e diretto per raggiungerlo diventi un recinto. Involontario ma indotto.
Il progetto del recinto. Il recinto come elemento progettato pensato e facente parte del progetto architettonico e del paesaggio. Forma, colore, materiali e posizione vengono decisi a priori in fase progettuale (recinto Pru Palizzi). Il progetto del recinto però anche come progetto di necessità. Saperi, esperienza, operosità, recupero dei materiali esistenti e non più abbandonati mettono in atto un processo di progettazione alternativa (recinti orti urbani).
Il cantiere. Sono recinti temporanei che delimitano le aree di cantiere e deformano lo spazio in attesa delle trasformazioni future. Fase transitoria. Ma nel frattempo?
Le infrastrutture. I margini, i confini, i limiti, le barriere di un territorio. Rendono difficilmente attraversabile il territorio e al tempo stesso lo rendono riconoscibile (la goccia) e accessibile. La frontiera che separa ma dove è previsto un utilizzo spesso differente da quello invece che se ne fa da entrambe le parti.
Le aree dismesse. I recinti della memoria. Aree potenziali in attesa che rievocano storie.
Marginalità. Il recinto e l’esclusione sociale. E’ sul bordo, ai lati, sul recinto che si crea segregazione. Lo spazio dimenticato.
I varchi. Quelli pensati e quelli creati in maniera non convenzionale per recuperare e riappropriarsi di uno spazio.

ATTESA | presidio, difesa, testimonianza, recupero


Un quartiere che sembra un paese, la scansione della quotidianità fatta di gesti semplici e abituali, le grandi trasformazioni urbane e le nuove architetture che promettono sviluppo e riducono lo spazio della socialità, le pratiche spontanee che sostituiscono le politiche.
Sono questi gli elementi che pongono le basi per una riflessione sull’attesa:


ASPETTARE. Condizione temporale dilatata, la lentezza del quotidiano.


ASPETTATIVA. Nei confronti di qualcosa che avverrà, che succederà, di un cambiamento. Le trasformazioni che generano desiderio.


IN ATTESA. Situazione di tensione preliminare a un evento, a qualcosa che sta per accadere. L’attesa come la dimensione dell’azione. L’ansia che genera l’attesa e l’attrazione nei confronti dell’avvenimento stesso. L’incertezza, l’indefinito, il non pianificabile, l’imprevedibile.

AVANZI | mettere in evidenza, segnalare, svelare, raccontare

Giacomo Balla, La città che avanza, 1942, Roma, Collezione privata

Spazi bianchi assimilano edifici a ‘vuoti’, zone della città o del territorio rappresentate senza informazioni nelle mappe, bianchi perchè senza occupazione, esclusi dal disegno o difficilmente rappresentabili, scarti. Isole instabili in attesa di trasformazione o semplicemente di attenzione, che non trovano riscontro nelle codifiche dei segni. Superfici bianche come risultato di un accumulo di situazioni, non direttamente decifrabili o estromesse dal processo di comunicazione, in attesa di essere re-integrate in quello della produzione. Spazi tralasciati, omessi o dimenticati, sospesi.
Oggi il tema si ripropone con evidenza ed urgenza: il problema di quelle aree che hanno subito processi di marginalizzazione, di abbandono, di dismissione, di esclusione fisica e sociale - processi che ormai costituiscono lo sfondo del quotidiano.
Il progetto si propone di spostare lo sguardo su questi ‘paesaggi scartati’ e di intervenire grazie ad essi e non semplicemente su di essi, trovando strategie relazionali che si fondino sull’azione ma anche sulla non-azione come prassi operativa.
L’accostamento dei due termini “territorio”, “rifiuto” o “scarto” può apparire paradossale nell’accezione usuale in cui l’uno è prodotto dell’esclusione dell’altro. Le due nozioni si incontrano però nel terreno comune dell’interpretazione soggettiva della realtà: entrambe riflettono modi di volgere lo sguardo.
Si possono quindi delineare tre possibili declinazioni di scarto.

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Lo scarto come esito di un’operazione di qualificazione

Il termine scarto rimanda etimologicamente ad un’azione capace di disegnare uno spazio: se una parte viene posta fuori allora si dà corpo ad un dentro, ad una impronta che esclude una massa informe, ad un confine, ad una norma che dà luogo ad eccezioni.
I due spazi che derivano dalla separazione tra ciò che è superfluo e ciò che è necessario presentano quindi caratteristiche antitetiche: mentre il primo è indeterminato il secondo presenta le caratteristiche dell’ordine progettato o della forma. I luoghi scartati dal progetto, assumono negatività per differenza e non per acquisizione di uno statuto, di una qualche identità.
Alcune ricerche nei campi dell’osservazione e del progetto raccontano la natura degli spazi di risulta come risultato, appunto, della costruzione di un preciso disegno.
L’esito di un’opera di catalogazione è un atlante di luoghi vuoti, spazi distesi, immessi nel disegno urbano in continua attesa di occupazione. Documentare queste presenze le restituisce oggettivamente, il vuoto degli spazi si fa commento critico, espresso attraverso la semplice esplorazione dei meccanismi di costruzione del sistema urbano.
Non più o semplicemente il negativo di un’affermazione, lo scarto assume in questo lavoro il ‘valore’ di elemento da leggere nella sua ripetitività: la campionatura ripropone una visione ‘tipologica’ del tema.
Questi spazi senza storia, con poco pensiero e progetto, presentati obiettivamente, quasi in maniera astratta, nella loro condizione di disoccupazione si offrono come evidenza dell’ordinario: intervalli ripetuti assurti a vocaboli nel racconto della città.

Scarto | Differenza
Positivo | Negativo
>>> La norma e il disegno

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Lo scarto come dimenticanza

L’evidenza della trasformazione, delle discontinuità, apre alla seconda declinazione dello scarto come prodotto di una dimenticanza. Nella prima declinazione, gli spazi scartati vengono letti come risultato di un disegno d’ordine, hanno permesso di mettere in rilievo strumenti di analisi e catalogazione, di verificare il riscontro tra codici e realtà. In questa seconda accezione il progetto entra a ricalibrare e risignificare l’interazione tra i fattori uso e tempo, abituale innesco di luoghi ed edifici dimenticati. L’operatività del progetto, rispetto a queste realtà emarginate, si concretizza in revisioni dei processi di trasformazioni, in cambi di prospettiva in cui lo scarto viene letto come opportunità.
Lo scarto si fa dispositivo di implementazione dell’urbano e contemporaneamente materia per nuove architetture senza implicare revisioni linguistiche, confermandosi anzi proprio come ‘residuo’, semplicemente reimmesso nello spazio come anamnesi.

Ricalibrare | Risignificare
Opportunità | Dispositivo in trasformazione
>>> Anamnesi

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Lo scarto come connotato di identità

La nuova definizione di paesaggio porta a ripensare la natura dei luoghi, la loro costruzione e a rileggere le modifiche impresse loro dal quotidiano.
Storicamente il concetto di paesaggio, la delimitazione di ciò che è paesaggio implicava ‘formalmente’ un’inquadratura, una cornice che selezionava e isolava la scena, un’opera di artificializzazione atta ad arginare l’indeterminazione della natura.
Un secondo passaggio vede mutare il ruolo della cornice: l’astrazione del disegno urbano.
Oggi, nel momento in cui la definizione di ‘paesaggio’ viene fatta coincidere con quella di ‘territorio’, non è più il telaio della finestra o la linea dell’orizzonte a decretare a definire un dentro e un fuori.

Accumulo di materia (architettura | umanità | natura)
Stratificazione
>>> Paesaggio vs Territorio

La città che avanza, la città che si trasforma e la città che rimane esclusa dal progetto, le aree avanzate e di cui più nessuno si prende cura ma di cui la natura si riappropria.
L’assenza della presenza dell’uomo come differenza, scarto, distanza che ridà valore ai luoghi.

FINDING | trovare 


(…) Il finding implica l’atto e il processo di cercare così come il risultato, la cosa scoperta. E’ allo stesso tempo un’attività e un’intuizione. Quello che si trova può risultare o da una soprendente scoperta o da una ricerca metodica e meticolosa. Così è piuttosto difficile parlare di un ‘metodo’ per il finding perchè differenti attività rendono differenti scoperte. (…)

La ricerca analizza le potenzialità trascurate di materiali e luoghi dimenticati, abbandonati o nascosti nella città e nel territorio ed esplora la loro capacità di costruire paesaggi della diversità. Si assume la prospettiva che lo scarto, piuttosto che un problema, sia qualcosa in grado di aprire ad azioni sull’esistente.
Spazi vuoti, scartati ma che in realtà vuoti non sono.
Il progetto non solo come esito di un’operazione artistica e di un’azione precisa ma come processo di conoscenza.
Le campagne di raccolta, la scoperta delle specie di piante presenti all’interno dell’area dismessa di via Caianello, la catalogazione, la risignificazione dello spazio attraverso la messa in evidenza dell’ecosistema presente e della sua complessità.
Il progetto prevede la definizione di un’erbario urbano.


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Dare un nome agli organismi che osserviamo, identificarli, riconoscerli, è innanzitutto un esercizio che appaga l’innato desiderio di scoperta e conoscenza, insito nell’animo umano.
[Paolo Fontana]


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FOUNDING | fondare

Il founding è probabilmente il più duraturo e significativo dei 4 atti traccia. Arriva nel momento in cui i precedenti 3 atti sono sintetizzati in una nuova e trasformata costruzione del luogo. Il fondare può essere sia conservativo – in riferimento ad eventi o circostanze passate – sia innovativo – importando qualcosa di nuovo in un luogo. In ogni caso l’atto di fondare è spesso una reazione a qualcosa che già era nel luogo. (…)

Il progetto non prevede nessun tipo di azione all’interno dell’area se non l’osservazione, il rilievo e la raccolta di alcuni esemplari, ma l’operazione artistica avrà il suo esperimento sul margine, sul recinto. Aumentarne l’impatto visivo per preservarne la vocazione. Il recinto come soglia e momento di conoscenza. L’erbario urbano diventerà il nuovo recinto dell’area. Le stampe saranno realizzate attraverso la serigrafia delle piante effettivamente presenti nell’area.